MEDARDO PINASTRI
Medardo è nato il 5 ottobre 1935 a casa Monzone di Labante ed è stato molto felice di rivedersi nella foto scattata, nel marzo del 1945, dal medico della 10a Divisione da Montagna Hans George.
Da bambino ogni tanto aiutava il padre a macellare i maiali, ma era un mestiere che non gli piaceva molto e i primi ricordi della guerra li ha su un fatto drammatico avvenuto i giorni 28/29 settembre del 1944 e su cui oggi possiamo permetterci di fare nuova luce: l'eccidio di Labante.
"Già da diverso tempo i tedeschi avevano occupato il paese e intorno al 25 settembre, due soldati stavano salendo lungo la strada da Labante diretti a Castel d'Aiano. In casa della colona Faustina Mei erano presenti due partigiani e lei si raccomandò di non uscire perchè i tedeschi non si sarebbero fermati; i due soggetti invece uscirono e spararono verso i soldati, ferendone uno e questi tornano sui loro passi scendendo a Vergato a chiamare le SS. Il 28 settembre arrivano a Campidello ed ebbe inizio la mattanza. Il primo ad essere ucciso fu Giacomo Paltretti mentre in bici stava scendendo verso Labante; raggiunta Casa Nuccia fu freddato da una scarica di fucileria perchè portava l'ombrello a tracolla, forse scambiato per un fucile. Verso sera fu ucciso Giuseppe "Peppino" Maldini, mandato ad Azzarina a prendere le chiavi della casa del padrone e ritrovato senza vita il giorno dopo con ancora le chiavi strette tra le mani. La notte cinque soldati delle SS la passarono in casa nostra, ma entrarono sparando furiosamente sul paiolo acceso sul fuoco e prima sterminarono tutte le galline nel pollaio. Uno di loro parlava bene l'italiano con un accento forse del Trentino. Il 29 settembre fu la volta di altre sette persone tra cui Luigi Palmieri, che scampato alla morte insieme a Lamandini Augusto sotto il lancio di bombe a mano il giorno prima, fu preso a calci tutto il giorno e fu ritrovato con la testa fracassata. Finita la mattanza, i corpi furono messi nella casa padronale di Campidello e fu fatta saltare prima che il reparto di SS partisse verso Marzabotto."
Questa è un'importantissima testimonianza che fa chiarezza su questo tragico evento.
La famiglia di Medardo rimase al Monzone per un altro mese prima di sfollare a Porretta:
" I primi di ottobre del 1944 arrivarono e si accamparono da noi due compagnie di soldati tedeschi che furono sempre gentili. Ricordo in particolare i due sergenti, uno stanco della guerra e che veniva sempre a prendere le uova con noi e l'altro che invece non voleva assolutamente che i suoi soldati andassero a prendere i volantini di propaganda lanciati dagli alleati. Quando americani e brasiliani arrivarono alla Torre di Nerone, da noi iniziarono ad arrivare troppe cannonate e il 1 novembre partimmo a piedi per Porretta. Ad Affrico i soldati brasiliani rilasciarono a mio padre il visto per andare a Porretta, ma passammo prima diversi giorni da un amico dei miei genitori a Turziano; arrivati nel luogo indicato dai brasiliani a Porretta, presi da una grossa fame, andammo a chiedere ai soldati americani in servizio presso una grande fotoelettrica se avevano qualcosa da mangiare. Furono molto gentili e disponibili, ci dissero che prima avrebbero mangiato loro e quello che rimaneva sarebbe stato nostro....e cosa è rimasto! Si permettevano di sprecare un sacco di cibo e anche le sigarette, se cadevano per terra, le buttavano a pacchetti interi. Arrivarono sei carri armati che si piazzarono nei campi e installarono una cucina da campo, dove noi andavamo sempre a prendere da mangiare; ogni giorno sparavano contro Soprassasso. Gli americani tenevano una pistola appoggiata su una mensola della cucina e un giorno sparì; tutti siamo stati interrogati dalla polizia militare uno a uno e chi usciva dalla tenda dopo l'interrogatorio veniva accompagnato fuori a calci. Li ricordo bene questi due omoni di quasi 2 metri, con indosso l'elmetto delle MP, che quando fu il mio turno fecero il gesto di colpirmi con un calcio nel sedere, ma per fortuna solo per spaventarmi. E il colpevole del furto lo trovarono, eccome se lo trovarono!"
La famiglia rimase sfollata fino al marzo del 1945, quando gli alpini americani della 10a Divisione da Montagna liberarono Castel d'Aiano e Labante occupandoli; qui passarono circa 40 giorni riorganizzando le forze per l'attacco finale alla sfondamento della Linea Verde:
"Stavamo così bene con gli americani in casa. Noi dovevamo vivere in cantina, ma ci davano e avevano di tutto. Avevamo riempito una botte intera di sigarette, con le maglie nuove pulivano i cannoni o i mezzi poi le buttavano e noi le andavamo a recuperare per riutilizzarle. A casa Nuccia avevano installato un'officina per i carri armati e avevano tantissimi pezzi di ricambio tra cui motori, carburatori, alberi di trasmissione, ecc... Mentre al Monzone costruirono due baracche di legno per lo spaccio alimentare e del vestiario. Un giorno con mio fratello siamo andati troppo attorno a questo spaccio e la polizia militare ci ha rispedito a Porretta, ma li avevamo ancora mia mamma e un paio di giorni dopo siamo tornati insieme. Ricordo benissimo quando ci scattarono la foto, avevano smontato una mitragliatrice tedesca e buttata oltre il muretto di casa; mio fratello andò a recuperarla e una volta riassemblata alla meglio ci abbiamo giocato per diverso tempo. Gli americani ogni tanto venivano a guardaci e noi avevamo paura che se la volessero riprendere."
Medardo ricorda che finita la guerra, addirittura da Gaggio Montano arrivavano civili con carri bestiame a recuperare materiale bellico lasciato in zona, tra cui diversi fusti di benzina ancora pieni. Ricorda bene anche del carro armato ribaltato in località Passatore e da cui i civili presero via varie parti tra cui i cingoli in gomma per farsi le suole delle scarpe; la canna di questo carro armato, tagliata all'epoca e utilizzata come scarico fognario di una casa, è stata recentemente venduta e persa nei meandri del mercato collezionistico....
Al Passatore fino agli anni '50 ci dice che i bossoli si "tiravano su a badilate" perchè era zona di addestramento al tiro e se ne trovavano moltissimi. Li raccoglievano per rivendere l'ottone, all'epoca pagato molto bene.
Purtroppo nel 1946 suo fratello Renato, con cui aveva condiviso tante avventure durante il passaggio del fronte, fu vittima di un incidente con un ordigno bellico che gli costò la vita. Renato purtroppo fu una delle tante, troppe, vittime innocenti che scossero la ripresa della vita normale nel dopoguerra.
Medardo ci ha salutato in questo nostro primo incontro:
"Non avrei mai pensato di rivedere la mia foto fatta allora dagli americani, mi fa molto piacere e sono felice di avervi raccontato la mia storia!"
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